Riga n. 41
Kitsch
Francesco Bonami
Il nano da giardino non è più kitsch
la Repubblica, 06 Gennaio 2021

Chissà se Nanni Moretti leggerà mai il libro a cura di Marco Belpoliti e Gianfranco Marrone “Kitsch”, lui che nel film Palombella Rossa aveva preso a schiaffi una giovane giornalista per aver pronunciato quella terribile parola. Se non si offende e più che altro non da anche a noi uno schiaffo gielo suggeriamo. Anche perchè un libro che si può affrontare da qualsiasi parte, senza un inizio o una fine. È quello che gli americani chiamano “reader”, una antologia , una guida per capire cosa diavolo davvero sia questo maledetto “kitsch” . Parola, come diceva appunto il personaggio di Palombella Rossa Michele Apicella, a sproposito e quindi come tutte le parole usate male pericolosa. Il libro comunque, cosi come si presenta  contraddice il suo soggetto. È elegante, accademico e pure gli esempi fotografici a cura di Elio Grazioli, per quelli che guardano solo le figure, sono riprodotti rigorosamente in bianco e nero. Che devo dire rende lo sforzo un pò inutile perchè se al Kitsch togli il colore è un pò come togliere ad un culturista i muscoli. Difficile ed ingiusto, quasi discriminatorio, sarebbe tirar fuori un solo capitolo dell’antologia che per la sua esagerata ricchezza di contenuti, questo si, diventa un pò kitsch. Ma correndo il rischio di discriminare e avendo spazio limitato il capitolo che mi porterei a casa da solo è quello dello scrittore russo Vladimir Nabokov. Lolita per intendersi. Un estratto di una sua conferenza del 1941.Il titolo è Filistei e filisteismo. Per Nabokov filisteo equivale a volgare e visto che in fondo viviamo in un epoca politicamente dominata dalla volgarità egogentrica questa parte del libro mi pare una delle più appropriate per i tempi in cui viviamo. Un’altro termine che Nabokov usa riferendosi al kitsch è la parola russa “poslost” che semplificando significa trivialità compiaciuta di se stessa e che adattandola ai nostril tempi si potrebbe chiamare “Postlost” la trivialità compiaciutà dei “post” che tutti vomitiamo con Instagram e gli altri vari social nel flusso perenne di un  quotidiano senza fine. Si può dire con un margine molto basso di errore che il Kitsch di oggi sono proprio i social dove degenerazione privata, massificazione intellettuale , inautenticità personale , ripetitività , simulazione , contraffazione e dilettantismo fanno da padroni. A confronto di quello che si vede dentro i vari profili social, versione virtuale dei giardinetti delle cassette a schiera di periferia, i nani da giardino, soggetto del capitolo di chiusura del volume di Jean-Yves Jouannais, sono David di Donatello. Oltre che ad essersi identificato con i social il Kitsch ha preso anche le sembianze della politica e dei suoi vari attori che con i social appunto s’identificano specularmente. Se il Kitsch doc parlava di pseudo arte il Kitsch contemporaneo parla di pseudo politica e pseudo realtà. Il Kitsch vintage era indentificato dalla maggioranza delle persone con il cattivo gusto. Oggi si potrebbe dire che il Kitsch contemporaneo lascia un gusto cattivo nella nostra bocca e nella nostra anima. Che il Kitsch potesse mutare in una versione peggiore e più pericolosa di se stesso è una cosa sorprendente che scopriamo via via che ci inoltriamo nei meandri del libro. Come l’Underground, che praticamente non riesce a vivere più in maniera autonoma senza essere inglobato immediatamente dentro il consenso collettivo od essere rigettato come semplice fallimento da sfigati, anche il Kitsch ha perso la sua autonomia, abbracciato dalle elite della moda come provocazione commerciale o abbandonato nelle fauci della disperazione dei diseredati esclusi dalla catena del lusso. L’Underground è inesplorabile perchè nessuno vuol più andare in profondità. Il profondo è diventato semplicemente un sotto, una sepoltura nulla di più. La superfice e la superficialità sono sono l’unico luogo e l’unica condizione di rispettabilità e d’identità. Cosi il Kitsch, quello vero, quello non guardabile, quello non indossabile, quello non discutibile o teorizzabile, non commerciabile. Siccome oggi tutto si deve poter guardare, tutto si deve poter vedere, tutti dobbiamo avere estrema visibilità per esistere, in questa condizione il vero Kitsch scompare per diventare stile estremo, pagliacciata di lusso, audacia  esclusiva. Il Kitsch muore quando qualcuno dice “funziona” o quando viene definito “divertente”. Il nano del giardino oggi occupa le sale e i porticati dei dei musei. Non fa più schifo, non fa più paura. Il nano del giardino oggi è il mediatore, il caronte buono che traghetta la beata ignoranza del pubblico dentro i luoghi sacri della cultura. Che c’è di male a mettere un nano da giardino vicino ad un Caravaggio se questa combinazione aiuta lo sprovveduto ad entrare nel museo per farsi il selfie, elevando il nano al Caravaggio. Davanti a questa brutalità comunicativa nemmeno il direttore o direttrice  di museo  più educati del mondo oseranno mai dire “mamma mia come è kitsch!”, rischierebbero difinire nella gogna dei social. Il Kitsch come l’Underground erano zone della cultura dove avveniva la sperimentazione più azzardata della cultura. La loro assimilazione dentro il Kitsch e l’Underground di stato ha spazzato via anche l’energia essenziale della sperimentazione e del progresso culturale. Leggersi, anche solo in parte, il libro di Belpoliti e Marrone, potrebbe aiutarvi a non dimenticare la differenza che c’è fra una nano del giardino e un Caravaggio. Se poi preferite il nano non c’è nulla di male, basta che almeno abbiate capito la differenza.
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