Remo Ceserani
Alla maniera di Perec
Il manifesto, 10 Febbraio 1994
Alla maniera di Perec
Il manifesto, 10 Febbraio 1994
Il fascicolo che la bella e coraggiosa rivista Riga dedica a Georges Perec – lo scrittore francese che Calvino ha ammirato con decisione, proclamandolo «figura esemplare del fare letteratura della nostra finesecolo» - ha un punto di forza, che caratterizza tutti gli articoli: in tutti circola un vivo amore per la collaborazione, un senso di comunità e quasi rivalità tra scrittori, un gusto del «fare» che diviene gusto della vita.
Non a caso il fascicolo (Riga 4, a cura di Andrea Corsari, Marcos y Marcos, pp. 200, L. 24.000) si apre con un esercizio poetico di Calvino, tentato nel 1983 come omaggio a Perec, alal maniera di Perec: 17 endecasillabi italiani scritti usando solo le lettere del nome Georges Perec e quelle dell’aggettivo «oulipien» (attribuito a Perec come seguace e ispiratore della scuola poetica parigina dell’OuLiPo); un esercizio quindi di «costrizione», di creazione condizionata dalla assenza necessaria, o scomparsa, da quei versi, di tutte le parole in cui ricorrano la vocale A e otto delle nostre consonanti. «Le leggi che si pose e che seguì / Per sere e sere, nelle poesie…», dice Calvino a proposito di Perec, e per una volta prova anche lui a porsi quel tipo di leggi.
Perec stesso compare abbondantemente nel fascicolo, come interlocutore di se stesso e di altri (soprattutto pittori), maestro nascosto del «fare». Di lui vengono pubblicati testi rari ed esemplari, scelti fra le sue descrizioni di oggetti e luoghi, sulla linea «che passa dalle cose, si sofferma sugli spazi e si risolve nella descrizione». Si tratta di componimenti marginali, ma spesso raffinatissimi, che vengono dal suo tavolo di lavoro.
Con lui entrano in rapporto dialogico anzitutto i traduttori, fra cui oltre al curatore del fascicolo ed esperto conoscitore dell’opera di Perec Andrea Corsari e a Elio Grazioli, due raffinati scrittori in proprio e traduttori di professione: Valerio Magrelli, che traduce un pezzo di bravura intitolato Still Life – Style Lieaf («La scrivania su cui scrivo è un vecchio tavolo da gioielliere in legno massiccio…») e Gianni Celati, che traduce il breve racconto-puzzle dal titolo calviniano Il viaggio d’inverno. Ma sia Magrelli sia Celati vanno oltre la semplice traduzione, scrivono anche due preziose note di commento, l’uno costruendo a sua volta un testo fatto di altri testi schedati e allineati sulla propria scrivania di traduttore, l’altro mettendosi nuovamente in gara con Perec e provandosi nella traduzione di brani dal famoso romanzo La Disparition, scritto da Perec nel ’69 evitando tutte le parole in cui ricorreva la lettera e.
Ma anche altri dei collaboratori del fascicolo, parlando di Perec, si mettono frequentemente a «fare» Perec, a mescolare memoria e descrizione, scrittura in proprio e interpretazione critica: ad analizzare, per esempio, come fa Luigi Grazioli, una fotografia scattata a Parigi nel 1974, per ritrovarvi non solo le tracce della propria esperienza, ma anche forse un’immagine di Perec seduto a un tavolino di un caffè – e il lettore è portato ad accostare questo pezzo a un brano di Perec, che compare più avanti, sul vero bistrò parigino –, o ad abbozzare una novella fantastica, come fa Marco Belpoliti in Tavolo di notte, un testo anche questo in cui alla memoria personale si sovrappone d’improvviso l’immagine di Perec, seduto di notte al suo tavolo di lavoro, misteriosamente trasportato nella stanza d’albergo parigina di Belpoliti.
Il fascicolo, che contiene anche brani di ricordo e contributi saggistici di Virilio, Duvignaud, Mathews, Pontalis, Daniel Gunn, Eleonora Bertacchini, Santino Mele, Sandra Cavicchioli e Andrea Borsari, si chiude con un ultimo accostamento: quello fra lo sguardo di Perec sulle cose e un album di fotografie «non estraneo alle intenzioni di Perec», di Luigi Ghirri.
Non a caso il fascicolo (Riga 4, a cura di Andrea Corsari, Marcos y Marcos, pp. 200, L. 24.000) si apre con un esercizio poetico di Calvino, tentato nel 1983 come omaggio a Perec, alal maniera di Perec: 17 endecasillabi italiani scritti usando solo le lettere del nome Georges Perec e quelle dell’aggettivo «oulipien» (attribuito a Perec come seguace e ispiratore della scuola poetica parigina dell’OuLiPo); un esercizio quindi di «costrizione», di creazione condizionata dalla assenza necessaria, o scomparsa, da quei versi, di tutte le parole in cui ricorrano la vocale A e otto delle nostre consonanti. «Le leggi che si pose e che seguì / Per sere e sere, nelle poesie…», dice Calvino a proposito di Perec, e per una volta prova anche lui a porsi quel tipo di leggi.
Perec stesso compare abbondantemente nel fascicolo, come interlocutore di se stesso e di altri (soprattutto pittori), maestro nascosto del «fare». Di lui vengono pubblicati testi rari ed esemplari, scelti fra le sue descrizioni di oggetti e luoghi, sulla linea «che passa dalle cose, si sofferma sugli spazi e si risolve nella descrizione». Si tratta di componimenti marginali, ma spesso raffinatissimi, che vengono dal suo tavolo di lavoro.
Con lui entrano in rapporto dialogico anzitutto i traduttori, fra cui oltre al curatore del fascicolo ed esperto conoscitore dell’opera di Perec Andrea Corsari e a Elio Grazioli, due raffinati scrittori in proprio e traduttori di professione: Valerio Magrelli, che traduce un pezzo di bravura intitolato Still Life – Style Lieaf («La scrivania su cui scrivo è un vecchio tavolo da gioielliere in legno massiccio…») e Gianni Celati, che traduce il breve racconto-puzzle dal titolo calviniano Il viaggio d’inverno. Ma sia Magrelli sia Celati vanno oltre la semplice traduzione, scrivono anche due preziose note di commento, l’uno costruendo a sua volta un testo fatto di altri testi schedati e allineati sulla propria scrivania di traduttore, l’altro mettendosi nuovamente in gara con Perec e provandosi nella traduzione di brani dal famoso romanzo La Disparition, scritto da Perec nel ’69 evitando tutte le parole in cui ricorreva la lettera e.
Ma anche altri dei collaboratori del fascicolo, parlando di Perec, si mettono frequentemente a «fare» Perec, a mescolare memoria e descrizione, scrittura in proprio e interpretazione critica: ad analizzare, per esempio, come fa Luigi Grazioli, una fotografia scattata a Parigi nel 1974, per ritrovarvi non solo le tracce della propria esperienza, ma anche forse un’immagine di Perec seduto a un tavolino di un caffè – e il lettore è portato ad accostare questo pezzo a un brano di Perec, che compare più avanti, sul vero bistrò parigino –, o ad abbozzare una novella fantastica, come fa Marco Belpoliti in Tavolo di notte, un testo anche questo in cui alla memoria personale si sovrappone d’improvviso l’immagine di Perec, seduto di notte al suo tavolo di lavoro, misteriosamente trasportato nella stanza d’albergo parigina di Belpoliti.
Il fascicolo, che contiene anche brani di ricordo e contributi saggistici di Virilio, Duvignaud, Mathews, Pontalis, Daniel Gunn, Eleonora Bertacchini, Santino Mele, Sandra Cavicchioli e Andrea Borsari, si chiude con un ultimo accostamento: quello fra lo sguardo di Perec sulle cose e un album di fotografie «non estraneo alle intenzioni di Perec», di Luigi Ghirri.