Riga n. 10
Nodi
Mario Porro
Una «Riga» di nodi
Il manifesto, 08 Maggio 1996

Il nostro tempo riserva una rinnovata attenzione alle forme, agli oggetti la cui morfologia sembra già racchiudere un nucleo di significati. La rete informazionale, l’albero della conoscenza e delle genealogie, la piega leibniziana, la cornice entro cui si muovono gli scambi comunicativi, non costituiscono semplici metafore: qui il modello è la cosa stessa, che sostituisce i diagrammi formali del nostro passato strutturalista. A maggiore ragione questo vale per i nodi a cui la rivisti «Riga» dedica il suo decimo numero, curato da Marco Belpoliti e J.M. Kantor.
La forma stessa del nodo rimanda all’ambiguità: Elide ricorda che il «Dio legatore», figura ricorrente nell’immaginario indoeuropeo, non utilizza le armi del guerriero, ma predilige le tecniche magiche del laccio. Urano e Veruna sono divinità cosmiche, custodi della trama dell’universo; la loro punizione si esprime nel chiudere, con i lacci della malattia e col nodo supremo della morte, lo scorrere dell’energia vitale.
Nella medicina popolare e nelle pratiche magiche il nodo è sia dannoso che protettivo, può operare la castrazione, come racconta Le Roy Ladurie, e impedire il parto, ma anche prevenire le conseguenze nefaste dei malefici. Elide inscrive questo complesso indoeuropeo della legatura nell’idea del Cosmo come tessuto, groviglio di legami in cui è immersa la condizione umana. Quando Parmenide parla della necessità che tutto stringe nei legami del limite, si serve del termine arcaico peiras, corda annodata, la gomena con cui Ulisse si fa legare all’albero della nave. Il nodo, che blocca e protegge, connette e imprigiona, è così simbolo per antonomasia: il suo potere è unire, sunballein, di contro al potere diabolico del separare. Corrado Bologna, nel saggio dedicato ad Alessandro e il nodo di Gordio, rileva che il nodo è intermediario, elemento di connessione fra divino ed umano; si comprende così il nodo sul caduceo di Ermes, messaggero degli dei, intreccio vivente, protettore delle porte. E l’ermafrodito è l’uomo senza nodi, custode del passaggio, della soglia, Signore del Nessundove, come il clown e il contorsionista.
Ma il nodo è anche oggetto di pratiche millenarie, dalla pesca alla tessitura, dall’acconciatura all’abbigliamento: saperi della mano, del rapporto occhio-mano, universo di esperienze più che di ragioni, spesso disprezzato dalla nostra cultura, come tutte le tecniche che procedono per ricette più che per leggi. La tradizione occidentale ha privilegiato la geometria dell’uomo eretto, la cui maturità è abbandono della posizione accovacciata, e la nostra Ragione si è voluta dritta ed affilata come una spada. Il nodo esprime invece un sapere inclusivo, molteplice, privilegia la flessibilità e la polimorfia, il flessuoso e l’obliquo: la sua forma mentis non è l’analisi separatrice, ma la metis, il sapere astuto, fatto di sagacia e senso dell’opportunità, l’essere navigati di cui è emblema Ulisse. Il nodo non abita solo il passato mitico e religioso, oggi ritorna nelle nostre scienze: nell’idea di vincolo che sostituisce alla necessità della legge il senso del possibile, nelle casualità circolari del nostro pensare postcibernetico che annulla la linearità delle catene cartesiane, nelel eterne ghirlande di Godel, Escher e Bach, nelle reti neoconnessioniste, nelle supercorde delle particelle fisiche.
 E l’odierna topologia dei nodi, su cui si sofferma la seconda parte del volume, ci consente di ritrovare nei meandri, nei labirinti e negli intrecci di cui parlano i miti una razionalità sepolta, una manipolazione prematematica delle forme. Così i saggi centrali della rivista, quello di Marco Belpoliti e di Narciso Silvestrini, ci servono come steli di Rosetta per tradurre il linguaggio del mito in quello odierno delle varietà topologiche.
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