Riga n. 20
Milan Kundera
Maria Sebregondi
Ma Milan Kundera è soprattutto un altro
Il manifesto, 22 Giugno 2003

"Si dissipa l'istante. Immobile, / vado e vengo: sono una pausa". Si apre e si chiude con versi inediti di Octavio Paz il nuovo volume monografico di Riga dedicato a Milan Kundera, a cura di Massimo Rizzante. Arrivata al ventesimo volume in poco più di dieci anni di vita, Riga (diretta da Marco Belpoliti e Elio Grazioli- più che una rivista verrebbe voglia di definirla una straordinaria collana editoriale) continua a distillare a ritmo semestrale le sue monografie su personaggi-chiave del Novecento, scrittori e artisti (non tralasciando musica e teatro), su avventure tematiche e progetti culturali, tracciando una cartografia preziosa che incrocia più sguardi e vertici d'osservazione diversi. Secondo una struttura originale, la cui fecondità è ormai ben collaudata, s'intrecciano scritti inediti dell'autore dedicatario del volume, interviste, contributi critici inediti o difficilmente reperibili, raccolti pazientemente tra vecchi articoli dispersi della stampa internazionale, saggi scritti appositamente per Riga, poesie e disegni in sintonia evocativa. I versi di Paz per Kundera parlano di sguardi riflessi, di allusioni e insinuazioni. Diventano una possibile cifra interpretativa per una rilettura dell'opera complessiva dello scrittore boemo, strutturata - in omaggio alla sua passione per la musica - come una partitura. Attraverso una polifonica e intensa carrellata, il volume tenta di ridisegnare una figura ingombrante ed elusiva, sottraendola agli equivoci che di volta in volta l'hanno accompagnata e alle surdeterminazioni generate dall'effetto bestseller. Se per molti Kundera è soprattutto l'autore del fortunatissimo L'insostenibile leggerezza dell'essere, ciò che più sta a cuore a Rizzante è restituire la centralità delle sue riflessioni sui Tempi Moderni e sull'Europa, condotte attraverso i numerosi romanzi (tra i più noti Lo scherzo, Il valzer degli addii, Il libro del riso e dell'oblio, L'immortalità, L'identità) e soprattutto nei due saggi L'arte del romanzo e I testamenti traditi e nei seminari sul romanzo tenuti a Parigi per circa quindici anni.
Nato a Brno nel 1929, figlio di un illustre pianista, egli stesso musicista jazz e docente di cinema all'Istituto Superiore di Cinematografia di Praga (tra i suoi allievi Milos Forman e i protagonisti della nouvelle vague del cinema ceco), nel 1975 si trasferisce in Francia. Come altri grandi del Novecento (Beckett, Nabokov) vive la mutazione linguistica (passando dal ceco al francese) e l'ossessione della traduzione e del fraintendimento: se negli anni sessanta e settanta è soprattutto l'equivoco generato dalla ricezione politica (che ne fa un simbolo della dissidenza e un campione della lotta al totalitarismo), negli anni ottanta e novanta è l'etichetta riduttiva del moralista-filosofo (che gli fa subire quello che rizzante chiama "l'assalto delle scienze umane").
 Dopo l'ouverture dell'amico poeta, ecco l'autore che enuncia i suoi temi-guida: il cielo stellato dell'Europa centrale" con la pleiade kunderiana dei grandi romanzieri (Kafka, Musil, Broch, Gombrowicz), la "Weltliteratur", "L'esilio liberatore", "L'arciromanzo", "Il modernismo antimoderno". Ecco la dichiarazione di molteplici amori: oltre alla sua costellazione elettiva, ci sono Janacek e Kis, Skácel e Kosík Marquez e Arrabal, Fuentes  Paz, e gli artisti Breleur, Bacon, Fellini...
Sono capitoli e frammenti di un lungo manoscritto inedito che ogni tanto, nel corso degli anni, fa capolino sui quotidiani (Le Monde, La Repubblica, La Stampa). Una riflessione centripeta sui nodi sensibili della modernità (identità, memoria, narrazione, tradizione, omologazione), condotta attraverso la "saggezza dell'incertezza" di cui è portatore il romanzo e attraverso la ricerca della sua essenza ludica: dall'"epopea allegra" di Rabelais (passando per Cervantes, Sterne, Diderot) all'"umorismo malinconico" di Gogol' alla "commedia disperata" di Ionesco. Il terzo movimento raccoglie gli studi critici, organizzati cronologicamente e scelti secondo il criterio della varietà e originalità, della minore adesione ai luoghi comuni della critica Kunderiana, privilegiando gli scrittori sui critici di professione. Contributi dell'ovest e dell'est, del nord e del sud, europei e americani: da Louis Aragon a Sylvie Richter, da Salman Rushdie a Ian McEwan, passando per Philip Roth e Carlos Fuentes, Eugène Ionesco e Yoshinari Nishinaga, fino a Guy Scarpetta e Wuping Zhao. Nutrito anche il gruppo degli italiani: Sciascia sul Kundera-Diderot Jaques e il suo padrone; Calvino, Tabucchi e Celati con voci fuori dal coro sull'insostenibile leggerezza; Citati che ritrova "il tocco delicato e sovrano" di Kundera nell'eleganza estrema dell'identità; lo stesso Rizzante che conclude la cavalcata con una lettura dell'ultimo romanzo pubblicato, L'ignoranza. Gli studi sono punteggiati da riflessioni inedite dell'autore, brevi interviste, scambi di lettere e flash di conversazioni con il curatore. Il finale musicale è un omaggio di Kundera a Cervantes, capostipite della genealogia più amata, quell'arte del romanzo che è anche il suo rovello. Lo suggellano i versi di Paz e il Collage della moglie di lui Marie José, un enigmatico volto-tavolozza-specchio adatto a interpretare le domande-risposta kunderiane: "A che cosa tengo allora? A Dio? Alla patria? Al popolo? All'individuo? La mia risposta è insieme ridicola e sincera: io non tengo a niente tranne che alla denigrata eredità di Cervantes".
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