Riga n.
Alberto Arbasino
Ernesto Franco
Angeli istantanee

Sono un nefologo. Osservo le nubi. Nube era per i greci nefele. Il lessico della mia scienza, a rigore, imporrebbe una diversa terminologia. Dovrei dire: sono un nefologo, studio le nubi. Ma tutti questi anni di intensa e metodica applicazione, in fondo, non hanno aggiunto alle mie conoscenze che qualche scoppio di ilarità incontenibile e una sola convinzione: osservare è più di studiare. Non sono un filosofo, e quindi mi riesce difficile spiegarne i motivi, dirigerne con efficacia la sequenza di ineludibile necessità. Non mi resta dunque che ricorrere all’esperienza, fidando che nelle sue zone d’ombra qualcuno possa incontrare le mie ragioni.
La nostra essenziale ma intensa bibliografia, come ben sa chi stacca l’ombra da terra, basata sulle opere del francese Lamarck e dell’inglese Howard (due uomini solitari che scoprirono solo dopo anni di fitta corrispondenza di essere molto diversi fra loro, ma di abitare in due case arredate in modo perfettamente simmetrico), permette a qualsiasi neo-nefologo di distinguere fra cirrus e cirrostratus, cirrocumulus e stratocumulus; di fare la punta alla propria matita in vista di una linea dei groppi e di dire alla propria compagna di ritirare il bucato all’insorgere di un fronte occluso. Inoltre il nostro neonefologo potrà spiegarvi come la galaverna sia un’idrometeora, l’arcobaleno una fotometeora e i fuochi di Sant’Elmo una elettrometeora. Tuttavia, sarà solo alla fine della propria vita scientifica, solo dopo che avrà apportato, al prezzo di estenuanti dibattiti congressuali, una lieve modifica alla sintassi di un concetto di Lamarck o Howard, che lo studioso tornerà a vedere nel disegno di un cumulus humilis il sorriso del gatto del Cheshire, in un cumulus capillatus ineus il seno di cui credeva di aver dimenticato la sensazione, in un cumulus congestus il profilo di un maestro. Ecco: allora osserverà, come il jazzista suona la propria musica, conoscendo tutte le regole e le frasi, ma trovando e provando nuove parole.
Io sono su questa soglia, che credo si manifesti in me attraverso un talento non ancora catalogato, ma che ho evidentemente educato nel corso di tutta una vita: quello di notare, e di osservare, ciò che è sospeso, come il tempo fra due nubi o il movimento fra due immagini concrete della stessa donna. Da nefologo sono diventato, insomma, uno specialista in intervalli, cosa che la mia scienza prevede e prescrive solo come assenza di se stessa. Tali intervalli, sostengo, contengono un segreto che è finora possibile indicare, ma non svelare. Ad esempio, non ho mai parlato degli enti sospesi di cui pure possiedo ormai un discreto catalogo. Ne proverò oggi finalmente a dire solo perché un caro amico, per più versi corrispondente, me ne ha inviato le immagini, con queste dichiarando un’insospettata affinità. Entrambi, in mancanza di meglio, osiamo chiamarli angeli.
 

Istantanea I

Costui è un Trono. Avvenne nell’istante di intervallo fra due perturbazioni idrometriche. L’avrei certamente scambiato per una bambina se lo sguardo non mi fosse caduto sulla sua mano sinistra. Incerto o appena abbozzato, il gesto ieratico che tutta l’angeologia conosce l’ha tradito.
Ma i punti restano separati solo dall’assenza delle linee che li congiungono, e così sono arrivato all’altra mano, alla destra, che sostiene evidentemente un cristallo di neve, cosa che va contraddicendo in modo lampante il panorama di sfondo, è impossibile non leggere come un ulteriore segno di illuminazione. Visto in camera oscura, col favore del negativo, il cristallo si rivela essere come in effetti è: perfetto. Esso contiene infatti, in una sola forma complessa, il nome di tutti gli oggetti sepolti sul fondo dei ghiacciai. Ne contiene il nome, ma non ne svela il segreto, ed è per questo anche una metafora della bellezza.
Tu sei il nefologo, mi pare abbia detto il Trono. Stavo per rispondere con distinguo, eccezioni e parentesi, ma poi compresi che la definizione era limitata, ma a suo modo completa. E la mia risposta fu sì.
 

Istantanea II

Costui è una Dominazione. Avvenne, come si può notare, in uno spazio ristretto, ma singolarmente duplice. Stavo per attaccare discorso, quando mi resi conto, per puro caso, della battaglia che si svolgeva sotto i miei occhi. Attratto, sulle prime, da come l’ovale del mento fosse cifra minuta dell’ovale del viso, non avevo guardato l’essere quadriforme che gli era opposto, nelle vesti di un frate osceno. Vidi allora, come se tutto mi fosse svelato da un sipario trasparente, che chi parlava non aveva volto e che chi taceva resisteva a una chiamata. Vidi la spada che la Dominazione nascondeva nella manica troppo rigida del braccio sinistro. Vidi e provai ad ascoltare. Da una parte, il rovescio di tutte le parole, l’oro dei significati, dei simboli, dei sinonimi e delle declinazioni; dall’altra, lo splendore del senso, cui si addice il silenzio che è circonferenza di ogni forma. Un passo in più e tutto sarebbe cambiato. Mi trattenni, sapendo che quell’istante sarebbe rimasto inscritto nella parte biologica del mio cervello, il luogo in cui la memoria non vuole entrare per paura di perdersi.
Sarebbe per te, ha detto la Dominazione. Guardai l’orologio che avevo nel panciotto e iniziai ad attraversare la strada, fingendo di avere finito all’improvviso le sigarette.

 
Istantanea III

Costei è un Principato. Avvenne nel momento di muta in cui la tramontana piegava lo scirocco sul mare che si suppone sullo sfondo. Sembra incredibile, ma sulle prime la scambiai per un orologio. Poi notai la scritta che ostentatamente voleva indicarmi, e che è, in stampatello, quasi in primo piano a sinistra, uno dei nomi ingenui di Dio. I Principati, nonostante il loro nome, vivono di luce molto riflessa e il loro modo di pensare è assai complicato. Il loro corpo, o ciò che forse ne fa funzione, è del tutto trasparente, ma non così lo scheletro, che è l’unico scheletro vivo dell’universo. Lo si riconosce anche qui composto dall’intreccio di figure geometriche che alcuni passi apocrifi narrano infinite. Gli unici due elementi opachi sono l’icona del volto, dagli occhi sporgenti con tre pupille e dalla bocca piccola sempre atteggiata in una esclamazione estatica, e la tromba, cui danno fiato direttamente dalla parte superiore del capo. Con il braccio destro il Principato indica il mare aperto. Ma anche questa non è che una capriola del senso; noi nefologi sappiamo bene che ogni vero viaggio è un viaggio di ritorno.
Che ore sono, mi chiese il Principato e io risposi.

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