Attilio Vecchiatto
I Sonetti del Badalucco
I Sonetti del Badalucco
Durante il convegno sul comico, in una memorabile serata, svoltasi in una sala pubblica di Copenhagen, davanti a un pubblico attento e curioso, Gianni Celati ha letto diversi sonetti ispirati alla figura di Badalucco. Sono stati pubblicati successivamente in Zibaldoni (www.zibaldoni.it), il sito di testi e interventi letterari che fa capo a Enrico De Vivo e ai suoi amici. Le riproduciamo qui, ringraziando Zibaldoni per il permesso. Là, nel sito, si può leggere un ulteriore testo di De Vivo che racconta la storia dei versi e della loro composizione.
1. Il viaggiatore torna in patria. Scritto in un caffé di Roma, pochi mesi dopo il ritorno in Italia
Torna da vecchio in patria il viaggiatore
e guarda il suo paese ritrovato,
ora inospite, triviale, deturpato,
in mano a furbi senza alcun pudore:
fogna di massa, paese d’orrore
e di vergogne da togliere il fiato,
con quei somari del televisore
che fan del più fetente il più quotato.
Con chi scambiare idee in tal squallore,
dove impera il maramaldo unto e beato?
Cosa fare in balia d’un truffatore
che aizza tutto il popolo intronato?
Che dire? È in fogne, fango e brulicame
che fa carriera il Badalucco infame.
2. Nella piana di Aversa, a 15 km da Napoli, dopo una visita al sindaco minacciato nel suo ufficio da squadre di mafiosi in pieno giorno
Ecco la piana di Aversa, che ora consta
di scheletri in cemento e case orrende,
create per il lucro di una cosca
che fa, disfa, massacra, e tutto svende.
Peggior danno non c’è che si conosca:
inferno, galera, ricatto che tende
a chiudervi la bocca, nella losca
congrega di assassini che rivende
l’anima vostra, urlando: «Zitto e mosca!».
Così arricchirete in orride faccende,
homo hominis lupus, grinta fosca,
finché uno sparo in testa non vi stende.
Questo è l’ordine sociale, cosiddetto:
io sto coi cani randagi e i senza tetto.
3. Di cos’è marcia questa patria trista? Scritto ad Angri, in casa di Enrico De Vivo, dopo una discussione sul marcio dell’Italia odierna
È marcia per mancanza di vergogna.
Qui è sempre in cattedra l’imbroglio fino,
qui vince sempre il cavalier furbino,
e il perdente si gratta la sua rogna.
Qui una faccia di bronzo apre il cammino
guidando il branco al suon d’una menzogna:
scroscia l’applauso in piazza ed è una gogna
che azzittisce il modesto cittadino.
Ah, se ancora di notte lui si sogna
la fratellanza umana il poverino,
dovrà aprire gli occhi sulla sua scalogna,
muto tra furbi, tra usurai tapino.
Che patria è questa, che vita in quintessenza?
Mi sembra il Terzo Reich dell’insolenza.
4. Freddo è questo mondo che passa
Freddo, freddo, è questo mondo che passa,
voi non sentite com’è congelato?
E noi attori dovremmo col fiato
riscaldare la sua vecchia carcassa?
Da ricchezze e comfort ottenebrato,
una freddezza taccagna lo squassa;
e il pubblico con sguardo che ti glassa
scruta in scena l’attore assiderato.
Che pazzia voler sciogliere la massa
del gelo cosmico con un belato!
Ma anche ambire a un comfort assicurato
pagando al becerume la sua tassa!
Freddo polare, brrr! com’è ridicolo
smerciar da artista ardente il proprio articolo!
5. Vita terrestre
Dove sei, vita terrestre, ignota parte?
Sta l’uomo saggio ad ascoltar le rane
con cui discute dei suoi sogni d’arte;
pur la poesia sarebbe cosa inane
se i grilli non l’udissero in disparte;
e la filosofia (che è come il pane)
sarebbe un mucchio d’insensate carte
senza poterne ragionar col cane.
Della vita terrestre hanno più l’arte
cani, gatti, fringuelli, pesci e iguane;
l’uomo contro il creato in guerra parte
come un marziano a sterminar le rane.
Pazza tiranna scimmia anti-terrestre,
tu apri a un pianeta alieno le finestre!
6. Prima lezione di tenebre
Solo di tenebre posso dar lezione,
la chiarezza la lascio a chi è più matto;
non l’ebbi da mio padre in dotazione,
che assai poco mi lasciò di fatto.
Il padre affetto da un male al polmone,
cosa lasciò in eredità a Vecchiatto?
La pioggia che lo bagna e decompone,
il freddo che lo gela e rende sfatto,
le ceneri d’una vaga ambizione
di trovare chissà dove un riscatto
dalla mortale umana condizione,
mentre è nella greve gora attratto.
Ma gli lasciò poi anche la tendenza
a viver come tutti d’incoscienza.
7. Seconda lezione di tenebre
Di tenebre si tace e chi ne parla
è dal consorzio civile isolato,
perché ogni tizio un po’ civilizzato
deve sempre mostrar con la sua ciarla
che sa dov’è la luce. E trascinato
dai discorsi degli altri (che poi a farla,
la luce, ci pensan poco) può darla
come un dato di fatto assicurato.
Dopo di che, ogni furbo che straparla,
con nuovi lumi oscuri come il fato,
succhierà soldi al tizio costernato
dal timore del buio che lo tarla.
Vecchiatto non vuol certo aver ragione,
ma rende omaggio al nostro tenebrone.
8. Esse est percipi. Dedicato agli italiani, dopo varie constatazioni su come l’opulenza e l’insolenza si sposano perfettamente nell’italicismo attuale
Non siamo altro che parvenza vivente,
materia d’ombre senza fissa luce,
vestito a collo stretto e dentro niente,
sostanza tutta fuori che ci induce
anche alla mascherata più impudente.
Guardate quello là come seduce
bischeri e becere, il papa e il potente!
Ah, bindolo da tivù che traduce
le sfarfallate d’un parlar demente
nel grugno e birignao dell’attor truce:
bamboccio a cui non manca proprio niente,
col petto in fuori sempre a far da duce.
Ma il poco o il niente, questo sì, qui manca,
nell’opulenza dove tutto stanca.
9. Consuma, consuma e andrai in paradiso
Consuma, consuma e andrai in paradiso,
con tutti gli attori e la bella gente
che qui in terra hanno messo su il sorriso
di chi ha la fama dell’uomo vincente.
Continua a consumare e fai buon viso
a fregature, debiti e al demente
obbligo di star sempre sull’avviso,
perché del nuovo non ti sfugga niente.
Fai (come Badalucco) del tuo riso
uno stampo cosmetico lucente;
poi altre operazioni e un nuovo viso,
ti faranno un manichino appariscente.
Ma cadrai presto, sgonfio da far pietà,
nel baratro dell’umana nullità.
10. Badalucco parla al popolo
«Siate liberi - dice Badalucco -
io do la libertà, voi mi date i voti;
la libertà è il profitto per chi ha doti,
e senza doti niente, questo è il succo.
Qui siamo in democrazia e non c’è trucco:
basta coi moralismi da beoti,
se sei furbo coi quattrini tu ti quoti,
poi cacci via quei vecchi come il cucco.
Io ho l’arte degli affari e del pilucco,
e per farvi piluccar profitti ignoti,
vi do la libertà, voi mi date i voti,
che i fessi ci resteranno di stucco.
E quelli d’umore poco gaio
li metto a spalar merda nel mio merdaio!».
1. Il viaggiatore torna in patria. Scritto in un caffé di Roma, pochi mesi dopo il ritorno in Italia
Torna da vecchio in patria il viaggiatore
e guarda il suo paese ritrovato,
ora inospite, triviale, deturpato,
in mano a furbi senza alcun pudore:
fogna di massa, paese d’orrore
e di vergogne da togliere il fiato,
con quei somari del televisore
che fan del più fetente il più quotato.
Con chi scambiare idee in tal squallore,
dove impera il maramaldo unto e beato?
Cosa fare in balia d’un truffatore
che aizza tutto il popolo intronato?
Che dire? È in fogne, fango e brulicame
che fa carriera il Badalucco infame.
2. Nella piana di Aversa, a 15 km da Napoli, dopo una visita al sindaco minacciato nel suo ufficio da squadre di mafiosi in pieno giorno
Ecco la piana di Aversa, che ora consta
di scheletri in cemento e case orrende,
create per il lucro di una cosca
che fa, disfa, massacra, e tutto svende.
Peggior danno non c’è che si conosca:
inferno, galera, ricatto che tende
a chiudervi la bocca, nella losca
congrega di assassini che rivende
l’anima vostra, urlando: «Zitto e mosca!».
Così arricchirete in orride faccende,
homo hominis lupus, grinta fosca,
finché uno sparo in testa non vi stende.
Questo è l’ordine sociale, cosiddetto:
io sto coi cani randagi e i senza tetto.
3. Di cos’è marcia questa patria trista? Scritto ad Angri, in casa di Enrico De Vivo, dopo una discussione sul marcio dell’Italia odierna
È marcia per mancanza di vergogna.
Qui è sempre in cattedra l’imbroglio fino,
qui vince sempre il cavalier furbino,
e il perdente si gratta la sua rogna.
Qui una faccia di bronzo apre il cammino
guidando il branco al suon d’una menzogna:
scroscia l’applauso in piazza ed è una gogna
che azzittisce il modesto cittadino.
Ah, se ancora di notte lui si sogna
la fratellanza umana il poverino,
dovrà aprire gli occhi sulla sua scalogna,
muto tra furbi, tra usurai tapino.
Che patria è questa, che vita in quintessenza?
Mi sembra il Terzo Reich dell’insolenza.
4. Freddo è questo mondo che passa
Freddo, freddo, è questo mondo che passa,
voi non sentite com’è congelato?
E noi attori dovremmo col fiato
riscaldare la sua vecchia carcassa?
Da ricchezze e comfort ottenebrato,
una freddezza taccagna lo squassa;
e il pubblico con sguardo che ti glassa
scruta in scena l’attore assiderato.
Che pazzia voler sciogliere la massa
del gelo cosmico con un belato!
Ma anche ambire a un comfort assicurato
pagando al becerume la sua tassa!
Freddo polare, brrr! com’è ridicolo
smerciar da artista ardente il proprio articolo!
5. Vita terrestre
Dove sei, vita terrestre, ignota parte?
Sta l’uomo saggio ad ascoltar le rane
con cui discute dei suoi sogni d’arte;
pur la poesia sarebbe cosa inane
se i grilli non l’udissero in disparte;
e la filosofia (che è come il pane)
sarebbe un mucchio d’insensate carte
senza poterne ragionar col cane.
Della vita terrestre hanno più l’arte
cani, gatti, fringuelli, pesci e iguane;
l’uomo contro il creato in guerra parte
come un marziano a sterminar le rane.
Pazza tiranna scimmia anti-terrestre,
tu apri a un pianeta alieno le finestre!
6. Prima lezione di tenebre
Solo di tenebre posso dar lezione,
la chiarezza la lascio a chi è più matto;
non l’ebbi da mio padre in dotazione,
che assai poco mi lasciò di fatto.
Il padre affetto da un male al polmone,
cosa lasciò in eredità a Vecchiatto?
La pioggia che lo bagna e decompone,
il freddo che lo gela e rende sfatto,
le ceneri d’una vaga ambizione
di trovare chissà dove un riscatto
dalla mortale umana condizione,
mentre è nella greve gora attratto.
Ma gli lasciò poi anche la tendenza
a viver come tutti d’incoscienza.
7. Seconda lezione di tenebre
Di tenebre si tace e chi ne parla
è dal consorzio civile isolato,
perché ogni tizio un po’ civilizzato
deve sempre mostrar con la sua ciarla
che sa dov’è la luce. E trascinato
dai discorsi degli altri (che poi a farla,
la luce, ci pensan poco) può darla
come un dato di fatto assicurato.
Dopo di che, ogni furbo che straparla,
con nuovi lumi oscuri come il fato,
succhierà soldi al tizio costernato
dal timore del buio che lo tarla.
Vecchiatto non vuol certo aver ragione,
ma rende omaggio al nostro tenebrone.
8. Esse est percipi. Dedicato agli italiani, dopo varie constatazioni su come l’opulenza e l’insolenza si sposano perfettamente nell’italicismo attuale
Non siamo altro che parvenza vivente,
materia d’ombre senza fissa luce,
vestito a collo stretto e dentro niente,
sostanza tutta fuori che ci induce
anche alla mascherata più impudente.
Guardate quello là come seduce
bischeri e becere, il papa e il potente!
Ah, bindolo da tivù che traduce
le sfarfallate d’un parlar demente
nel grugno e birignao dell’attor truce:
bamboccio a cui non manca proprio niente,
col petto in fuori sempre a far da duce.
Ma il poco o il niente, questo sì, qui manca,
nell’opulenza dove tutto stanca.
9. Consuma, consuma e andrai in paradiso
Consuma, consuma e andrai in paradiso,
con tutti gli attori e la bella gente
che qui in terra hanno messo su il sorriso
di chi ha la fama dell’uomo vincente.
Continua a consumare e fai buon viso
a fregature, debiti e al demente
obbligo di star sempre sull’avviso,
perché del nuovo non ti sfugga niente.
Fai (come Badalucco) del tuo riso
uno stampo cosmetico lucente;
poi altre operazioni e un nuovo viso,
ti faranno un manichino appariscente.
Ma cadrai presto, sgonfio da far pietà,
nel baratro dell’umana nullità.
10. Badalucco parla al popolo
«Siate liberi - dice Badalucco -
io do la libertà, voi mi date i voti;
la libertà è il profitto per chi ha doti,
e senza doti niente, questo è il succo.
Qui siamo in democrazia e non c’è trucco:
basta coi moralismi da beoti,
se sei furbo coi quattrini tu ti quoti,
poi cacci via quei vecchi come il cucco.
Io ho l’arte degli affari e del pilucco,
e per farvi piluccar profitti ignoti,
vi do la libertà, voi mi date i voti,
che i fessi ci resteranno di stucco.
E quelli d’umore poco gaio
li metto a spalar merda nel mio merdaio!».