Non passa settimana senza che sui giornali italiani, e stranieri, compaia un disegno di Saul Steinberg, così che gran parte dei lettori conoscono perfettamente il suo lavoro ma quasi mai il suo nome.
Steinberg è un illustratore, uno dei più grandi, e tuttavia vige la convinzione che un illustratore sia meno di un artista: un artista incompiuto. Il disegno è qualcosa di piacevole, ma non gli si attribuisce un gran valore artistico. Se poi il disegnatore lavora per i giornali, quotidiani o riviste, il suo lavoro non è troppo considerato: vive sui margini dell’arte. Il nome di Saul Steinberg non figura in nessuna storia dell’arte; neppure Ernst H. Gombrich, che pure gli ha dedicato pagine importanti nei suoi saggi, lo ha incluso nell’elenco degli autori della sua popolarissima Storia dell’arte.
Questo numero di «Riga» vuole colmare dunque una eclatante lacuna, proponendo di leggere l’opera di Steinberg all’interno della storia dell’arte del Novecento, alla stregua di un suo significativo capitolo. Perché? Senza bisogno di stabilire graduatorie o classifiche si può - si deve - parlare dell’opera disegnata e dipinta da Saul Steinberg con lo stesso rispetto, con il medesimo interesse che si dedica a Duchamp, a Picasso, a Giacometti, a Picabia; questo perché l’arte di Steinberg è altrettanto complessa e ricca; essa parla sempre una doppia lingua: disegno e parola, retorica e letteratura, filosofia e percezione.
Steinberg è un artista che si muove al confine di molte discipline e saperi usando sempre e soltanto la linea: tutto nella linea e tutto è linea. Un grande artista? Sì, certo, anche se questo non è il problema che vogliamo qui mettere a fuoco, ma piuttosto usare Steinberg per leggere l’arte del Novecento, per guardare in modo diverso non solo i suoi disegni ma an-che le opere e le figure dei grandi artisti suoi contemporanei.
L’importanza di Steinberg nell’arte del Novecento - e non solo nell’arte - consiste, come ci spiegano Roland Barthes e Italo Calvino, nel continuo spostamento dal piano linguistico a quello semantico, dal motto di spirito al paradosso percettivo. Steinberg parla tante lingue contemporaneamente. E, a differenza di molti, è anche un artista «sociale»: sociologo della vita contemporanea, impietoso descrittore dell’America, fa critica sociale mentre diverte, ci fa capire paradossi visivi mentre fa dello humour; è imprevedibile e concettuale, paradossale e insieme sottile. Il suo lavoro di artista visivo - disegnatore, in primis - si trova in bilico tra molti saperi e differenti discipline, pur parlando l’unica lingua della linea. Sono molti i saperi che Steinberg mobilità nella visione dei suoi tratti continui e zigzaganti, avvolgenti e distanti: appartengono quasi tutti al novero delle «scienze senza nome».