Può darsi che La vita istruzioni per l’uso non sia più “l’ultimo vero avvenimento nella storia del romanzo”, come l’ha definita Italo Calvino, di certo l’opera di Perec nato nel 1936 e morto 1982 a soli 46 anni, resta una delle più significative degli ultimi anni e comincia a essere conosciuta ampiamente anche in Italia.
Dai romanzi e racconti, così come dalla miriade di articoli, noterelle, inventari, tentativi di descrizione, poesie, che vengono ora raccolti in volume, emerge finalmente l’immagine complessa del lavoro di Perec e la figura di uno scrittore che porta, per eccesso di minuzia, la rappresentazione del mondo che lo circonda fino all’iperrealismo. Un intreccio di vicinanza e distacco cui contribuiscono anche i mezzi formali elaborati dall’OuLiPo (Ouvroir de Littérature Potentielle) di Raymond Queneau e François Le Lionnais, che Perec ha saputo assumere e manipolare in modo da mantenere il vissuto quotidiano a distanza sufficiente per descriverlo e trasformarlo in materiale di gioco senza tuttavia che in esso cessino di tralucere le promesse di senso dell’esplorazione «endotica» e i riverberi tragici della Storia e del destino personale. La versatilità sistematica che ne deriva, poi, riesce a tracciare un paradossale percorso autobiografico obliquo, nel quale ciò che è più personale viene raccontato per mezzo di ciò che è più comune, a una generazione, a una città, a un’epoca.
È questa parte del lavoro di Perec che Riga ha scelto di mettere al centro della sua riflessione, quella che passa dalle cose, si sofferma sugli spazi e si risolve nella descrizione. Lo spazio «non è mai mio», scrive, «mai mi viene dato, devo conquistarlo», è un problema, un dubbio, deve essere continuamente individuato, designato. Le cose, gli oggetti, così come i rituali della vita della grande metropoli, i gesti, i «luoghi comuni» divengono gli elementi con cui «cercare miracolosamente di trattenere qualcosa, di far sopravvivere qualcosa: strappare qualche briciola precisa al vuoto che si scava, lasciare da qualche parte un solco, una traccia, un marchio, qualche segno». La descrizione - o i suoi sostituti: l’enumerazione, l’elenco, l’accumulo - occupa quasi per intero la scena, ma anziché impoverire la narrazione imponendosi come unico soggetto, si articola, come accade ne La vita istruzioni per l’uso, fino a diventare la cornice che include in sé l’intero libro - la descrizione di un unico istante dell’edificio di Rue Simon-Crubellier 11 - e, nel contempo il motore che trascina nei singoli capitoli la miriade di raccontini che bruciano in poche pagine un’intera vita.
È del resto qui la contrainte, la costrizione formale oulipiana, è men che mai vincolo subito, ma, legata com’è al reale e al vitale, mostra pienamente il suo originale carattere di forma complessa capace di raccogliere quelli e al tempo stesso di individuare e moltiplicare i punti di orientamento così come i rimandi del senso. La contrainte di Perec è vista da Riga come una possibile altra forma di quella sfida (giacomettiana per antonomasia) del fare che non è mai riduzione o fallimento ma sempre crescita umana, proprio perché legame indissolubile tra arte e vita.
Con la consueta scansione si incontrano nelle pagine di Riga testi inediti o trascurati dall’autore, insieme alla sua voce trascritta in interviste e conferenze. In particolare viene documentato l’interesse di Perec per le cose, risalendo alle parodiche «recensioni» egli oggetti di culto e dei comportamenti alla moda negli anni Sessanta - scritte pochi mesi dopo Le cose - e arrivando fino alla dichiarazione di puro e semplice amore per fabbricare oggetti da cima a fondo, «oggetti che si prova piacere a prendere tra le mani», su cui si conclude la conferenza del 1981. così lo spazio e la sua descrizione si trovano al centro degli scampoli di trascrizioni «infraordinarie» delle minime variazioni degli ambienti familiari dei Luoghi, guardati con lo sguardo straniato della indagine etnologica o ricordati nei tentativi di ricostruzione autobiografica indiretta. Allo stesso modo l’attenzione per lo spazio domina le sparse osservazioni sulla descrizione, dell’ultimo periodo, che contengono, incastonata, la lettura di un testo tra i più sofisticati di Perec nel descrivere un ambiente minimo - la sua scrivania - e le quasi impercettibili variazioni che il lessico mostra nella sua speculare ripetizione en abîme, come rileva Valerio Magrelli nella sua traduzione e nella nota che la correda.