I dizionari e le enciclopedie contemporanee riportano numerose definizioni della parola «nodo»: da quella usuale dell’intreccio d’amore, al celebre nodo di Gordio; oppure, in senso figurato: il nodo del racconto o quello dell’amicizia, fino ad arrivare a quello dell’incrocio tra due o più linee ferroviarie o stradali. Inoltre, ci sono i linguaggi settoriali con i loro specifici significati: astronomia, matematica, meccanica applicata, botanica, embriologia, anatomia, dermatologia, acustica, elettronica, ottica. E non sono tutti i significati possibili. Basterà infatti sfogliare le pagine di questo volume per trovarne molti altri, e non solo metaforici, riferiti all’arte alla filosofia, all’etnologia, all’antropologia, all’emblematica, alla mitologia, all’architettura, alla letteratura, alla topologia, alla geometria, all’estetica, al disegno, al colore, alla storia, ai giochi linguistici e di prestigio, alle scienze fisiche e biologiche, ecc.
La parola «nodo» oggi non è dunque solo un termine registrato dai dizionari e dalle enciclopedie, ma un vero e proprio sostantivo passe-partout, seguito da un aggettivo - nodale - che serve a indicare la centralità di un certo problema, la cui soluzione risulta essenziale per la sorte di un sistema, di un’impresa economica, di un gruppo politico, di un’intera società o nazione.
È probabile che la parola «nodo» abbia preso il posto un tempo assegnato a «labirinto» che è stato a lungo il termine chiave, almeno negli anni a cavallo della Seconda guerra mondiale, per indicare la condizione dell’uomo nella modernità, lo smarrimento, la sua perdita di centralità e altri aspetti di quella medesima condizione che numerosi artisti e scrittori hanno descritto con efficacia nelle loro opere. Ebbene, se il labirinto indicava l’aspetto inestricabile di un problema, il nodo ha il vantaggio di riferirsi a qualcosa che attualmente è insolubile, ma domani forse no. Il nodo è un legamento, cioè una connessione, un incrocio, un gruppo, qualcosa che può essere risolto, qualcosa per cui esiste, o esisterà entro breve, una «soluzione».
La scienza dei nodi - ammesso che ne esista già una, nata dalla cibernetica e dalle scienze della complessità - non ha perciò una sola faccia, ma almeno due: «legare» e «slegare»: sono queste le due attività complementari che riguardano i nodi, ed è probabilmente questa la ragione per cui oggi la parola «nodo» circola con sempre maggiore frequenza nei discorsi e negli scritti di uomini di cultura, di scienziati e filosofi, di epistemologi e futurologi di questa fine secolo, che è anche la fine di un millennio (la metafora della rete, degli scambi e dei nodi ossessiona gli studiosi della comunicazione come i vagabondi di Internet). Eppure i nodi sono antichi come l’uomo, o almeno come l’uomo cacciatore e coltivatore, cioè sono qualcosa di estremamente remoto (le metafore più forti sono quelle che affondano le proprie radici nel passato remoto.
Lo storico delle religioni Mircea Eliade, riprendendo un lavoro di Ananda K. Coomaraswamy, dedicato al simbolismo dei nodi , ha riportato alla luce una serie di problemi mitologici legati al sorgere di quella che è chiamata civiltà indoeuropea. Ma non c’è solo l’Occidente con le sue derivazioni. I nodi sono un oggetto presente in tutte le civiltà, come dimostrano i testi di Yves Delaporte e Laurence Caillet-Berthier, non a caso legato a simbolismi di tipo corporale, come sostiene Marco Belpoliti, co-curatore del volume, nel suo ampio lemmario dedicato ai nodi, dove trovano posto anche la distinzione tra nodo e labirinto e una trattazione tra l’arte di fare nodi e la lettura.