Per gli uomini e le donne di questa seconda metà del secolo, Pablo Picasso è la pittura. Nessun artista si è infatti identificato fino in fondo come lui nell’arte del dipingere e ridipingere; Picasso è la felicità e l’infelicità della pittura, il suo continuo processo di trasformazione, processo complesso e faticoso che tocca, nella sua evoluzione, nei suoi cambiamenti, nelle svolte e nei cammini a ritroso, tutte le forme possibili: l’avanguardista, il restauratore, il descrittore, l’innovatore. Picasso, ovvero le metamorfosi della pittura.
Di questo genio dell’arte del nostro secolo - l’altro, con Marcel Duchamp, secondo Octavio Paz - si è scritto e detto tutto o quasi, in un effluvio di parole e definizioni che sembrerebbero aver saturato tutto il dicibile, fino a costruire una specie di santino dell’artista medesimo, anche là dove la problematicità delle soluzioni artistiche e concettuali dovrebbe indurre a una certa cautela definitoria.
È perciò venuto il tempo di ripercorrere il suo lavoro sulla scorta di nuovi studi e approfondimenti che, in modo lento ma sicuro, hanno cominciato a forare la crosta dei luoghi comuni per restituirci l’immagine di un artista in implacabile lotta con se stesso e con le sue più profonde pulsioni.
Se oggi non sconcerta ormai più di tanto, o comunque non scandalizza certo più, la sua libertà di movimento tra gli stili del secolo - alcuni inventati da lui stesso - o addirittura la compresenza di diversi stili in una stessa opera; se abbiamo fatto i conti con la sua facilità presunta e prolificità creativa effettiva; se ci siamo arresi alla sua fama unica e all’inimmaginabile ricchezza che ha accumulato come nessun altro artista, o pochissimi nella storia; se abbiamo digerito le mille verità e pettegolezzi sulla sua vita privata; se abbiamo compreso il suo isolamento e riflettuto sul ritorno di carica erotica della sua vecchiaia; ora la sua persona, il suo personaggio e soprattutto la sua opera sono a completa disposizione della storia, ovvero di nuove generazioni di artisti e di studiosi a cui parla ancora con nuove e diverse suggestioni.
Chiamato «genio» fin da prestissimo e coralmente, la sua storia, grazie anche alla sua longevità, ha percorso e raccolto tutto il secolo tormentato delle avanguardie, dei ritorni all’ordine, delle dittature e delle libertà. Non è tanto una sintesi o un bilancio quello che si deve chiedere, ma l’apertura verso nuove idee e riflessioni. I recenti studi e le recenti mostre, ma anche le nuove compagini culturali capaci di valorizzare spunti che solo ora si rendono visibili, le nuove generazioni di artisti che si ispirano di nuovo a Picasso da angolature inedite, tutto questo sta dimostrando che anche su Picasso c’è ancora molto da guardare e da dire.
Un suggerimento viene direttamente da «Riga»: riprendere in considerazione il significativo rapporto di Picasso con i poeti e la poesia, non solo per una ricostruzione forse meno scontata di un periodo così suggestivo e importante della storia dell’arte, ma anche per rileggere un rapporto sempre tanto affascinante quanto problematico tra l’immagine e la parola. A tal proposito apre il presente volume un’ampia sezione, che raccoglie gli esempi più importanti di questo rapporto attraverso le poesie che i poeti che ne hanno costituito le tappe hanno direttamente dedicato al pittore. Jacob, Apollinaire, Reverdy, Aragon, éluard, Alberti, ma anche Rilke, Vitrac, Peret, Neruda, Guillén, Aleixandre, Diego, Valente, de Cañigal, Frénaud. Non solo, perché queste stesse poesie - o la maggior parte di esse - sono state tradotte o ritradotte per l’occasione da altrettanti scrittori e poeti italiani che ne rinverdiscono l’interpretazione e la proposta: Roberto Deidier, Cesare Greppi, Fabio Pusterla, Massimo Raffaeli, Franco Rella, Francesco Scarabicchi, Maria Sebregondi. Chiudono la sezione due inediti e appositi omaggi di Fabio Pusterla e Giuliano Scabia, tanto diversi nel loro approccio a un Picasso riappropriato.
Anche i testi di Picasso, notoriamente frutto del più conseguente e intransigente «automatismo» - quante volte Picasso ha criticato quello dei primi esperimenti surrealisti perché in realtà (egli ne possedeva alcuni manoscritti) tempestati di correzioni! -, sono qui raccolti attraverso una selezione operata da due poeti italiani, Valerio Magrelli e Maria Sebregondi, che li hanno anche brevemente commentati, oltre all’improba fatica di Giuseppe Mazzocchi che ha tradotto per la prima volta in italiano la pièce I funerali del Conte di Orgaz.
Del problematico di Picasso con la scrittura sono poi ulteriore testimonianza le cosiddette «conversazioni» che solo impropriamente sono tali, risultato sempre di annotazioni ma soprattutto di ricordi degli interlocutori dell’artista, il quale non ne ha mai rilasciate di ufficiali, di registrate, di rilette e approvate, lasciando appunto agli altri la responsabilità dei resoconti. Qui appaiono alcune delle pagine famose del Picasso dice… di Hélène Parmelin e del Cranio di ossidiana di André Malraux, ma anche una vasta selezione dei ricordi di Roberto Otero e l’insieme completo delle conversazioni pubblicate da Kahweiler, il più noto mercante di Picasso.